Essentia: termine latino che ereditiamo come la traduzione del greco ousia.
Il sostantivo essentia, ci suggerisce l’aspetto formale di un oggetto, la sua definizione, il concetto universalmente conoscibile. Tale traduzione ha lentamente assorbito il predicato esse, accezione parimenti contenuta nella parola greca.
Esse suggerisce l’esistenza concreta in atto, realtà intima di ciò che è.
È chiaro che non può esserci conoscenza universale di ciò che è unico e irripetibile, come lo è la vita di ognuno, ma considerare lecite solo alcune accezioni dell’umano sapere può essere un’arida tendenza che forse abbiamo respirato.
In tale contesto che posto potrebbero infatti avere l’arte, la poesia?
È interessante invece che nella mentalità del cosiddetto “vicino oriente antico”, il “conoscere” era espresso dal termine yâda’: tale termine stava ad indicare una conoscenza pratica, marcatamente tattile, esperienziale, fisica, intima(1).
Così la responsabilità dell’arte, del simbolo, della poesia, starebbe proprio nel comunicare un atto intimo, spazio di conoscenza, di relazione, tempo di comunione tra artista e spettatore. Ognuno di noi ha il suo privilegio di conoscenza intima della realtà, spazio e tempo sono creati come ad accogliere tali particolarità: pensiamo alla viscerale esperienza di entrare in relazione con ciò che è altro da sé non vedendo, ma accarezzando, o alle musicalità espresse da un udito eccellente.
Se c’è un espressionismo artistico nella nostra epoca, esso sembrerebbe proprio la legittima reazione alla stanchezza verso una razionalità soverchiante.
Allo stesso tempo ci chiediamo: l’interiorità dell’artista può esasperare la ricerca del mezzo espressivo a tal punto da rendere la sua opera inaccessibile? Artisti troppo impregnati di sé potrebbero fare di questa essenza donatagli in visione un fenomeno forse incomunicabile?
Può invece essere egli portavoce di un sentire comune?
Come vivrà l’arte senza creare relazioni di senso?
La relazione stessa è bellezza, è coinvolgimento, riteniamo bello un incontro solamente quando in esso si istaura un legame di senso, di affidamento: «uno “spettatore” e artista vero – Stendhal […] chiama il bello une promesse de bonheur»(2).  Promessa di felicità è promessa di relazione.
Ciò che spinge l’arte a scrutare nel profondo può coinvolgere, ti può coinvolgere.
E in quell’intimo che viene coinvolto scopriamo il Volto relazionale della bellezza, dell’essenza umana.

Alessandro Nicoletti

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(1)In Genesi 4,1 si trova: “Adamo conobbe Eva”, ed è usato proprio yâda’ per indicare molto più che una stretta di mano.  (2)F. Nietzsche, Genealogia della morale, terza dissertazione, a cura di M. Montinari, Adelphi, Milano 2011, 96.

 

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