15 | 23 Agosto 2020

La condizione quotidiana ci vede relazionati agli oggetti e agli altri per ciò di cui necessitiamo. Tutto, solitamente, è mezzo per poter vivere, e con tale sguardo caratterizziamo l’altro, qualunque “cosa” esso sia, “chiunque” esso sia. Per molti questo è l’unico modo in cui è possibile entrare in relazione, con un’occhiata di “appropriazione” volta a colmare un bisogno, legittimo o illegittimo che si ritenga.
Ora, questo modo di guardare costituisce la percezione stessa, per esempio, dell’oggetto che abbiamo difronte. Quale esperienza dunque rimane all’uomo da vivere che rompa la logica dell’appropriazione? L’esperienza estetica, precisamente l’oggetto, l’altro, non ha valore in quanto lo posseggo ma in se stesso, ha una dignità propria, un’armonia nascosta, ben oltre le esigenze che lo confinano.
L’arte segna con chiarezza che c’è dell’altro, una gratuità che sfugge alla norma dell’uso o del possesso. La storia umana ne ha raccolto delle tracce: conquistata la postura eretta, l’uomo alzò lo sguardo per la prima volta, spalancò gli occhi, ed ecco la volta celeste, il cielo stellato, da quel momento non fu più lo stesso; intuì un significato di cui non poté trattenere la portata. E così la notte, dopo aver cacciato, si ritrovò a disegnare sulla parete di una grotta. Qual è lo scopo di tutto ciò, perché, 15 mila anni fa, al pari di ora, accadeva questo? Cosa vede, per esempio, quell’artista che dipinge una preda dopo averla catturata? La celebrazione, liberandola dall’uso e dal possesso.
L’esperienza estetica, la creazione artistica, è ben oltre il “quello di cui ho bisogno” di uno stanco Narciso: l’arte è celebrare la realtà per come ella è, custodire ciò che esiste, resistenza dell’essere rispetto al nulla. È un’esperienza difficile render giustizia dell’armonia del molteplice, della libertà di cui l’altro, il diverso è degno, esige una conversione dei nostri sguardi sugli oggetti, sulle persone, esige lasciar essere senza ricondurre a sé.

Alessandro Nicoletti

 

Sede espositiva:  “Casa Cava”

SITO STRAORDINARIO_UNICO CENTRO CULTURALE IPOGEO DEL MONDO_GIA’ TESTIMONE D’ECCEZIONE PER LA CITTÀ CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA ANNO 2019_PATRIMONIO MONDIALE UNESCO

“Arrivai a Matera verso le undici del mattino. Avevo letto nella guida che è una città pittoresca, che merita di essere visitata, che c’è un museo di arte antica e delle curiose abitazioni trogloditiche. Ma quando uscii dalla stazione, un edificio moderno e piuttosto lussuoso, e mi guardai attorno, cercai invano con gli occhi la città. La città non c’era. Allontanatomi ancora un poco dalla stazione, arrivai a una strada, che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case, e dall’altro costeggiava un precipizio. In quel precipizio c’era Matera.” (Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli)

SASSI DI MATERA

Matera si trova in Basilicata, nell’Italia meridionale. Il sito Patrimonio Mondiale comprende i Sassi e il Parco delle Chiese Rupestri, un complesso di case, chiese, monasteri ed eremi costruiti nelle grotte naturali della Murgia, un altopiano calcareo caratterizzato da profonde fessure, burroni, rocce e caverne.
Da sempre in questa zona l’uomo ha scelto la vita in grotta, testimoniando un adattamento all’ambiente che nel corso dei millenni si è tradotto in una forma abitativa, peculiare di Matera, di eccezionale valore culturale ed antropologico.
Le abitazioni nei due Sassi di Matera, il Caveoso e il Barisano, circondano la Civita, ossia il nucleo più antico della città, che si trova nella parte più elevata. Le grotte nei Sassi sono di diverse forme e dimensioni e col tempo divennero la base per la sopraelevazione delle prime abitazioni, integrandosi pienamente con l’ambiente anche grazie all’uilizzo, per gli elementi edificati, delle stesse rocce di scavo dei vani. Il risultato è un insieme di abitazioni sui toni del grigio e del bianco che a malapena si distinguono dalle rocce nelle quali sono inserite. La tipica abitazione all’interno dei Sassi di Matera è disposta su tre livelli, comprendendo anche la stalla, la cantina e la cisterna. Nella maggioranza dei casi gli ambienti erano misti, era molto comune ad esempio avere camere da letto che ospitavano sia le persone sia gli animali.
Le abitazioni nei Sassi sono state abbandonate a partire dal 1952 ed oggi molte di esse, trasformate in alberghi e strutture ricettive, offrono ai numerosi turisti la possibilità di vivere l’atmosfera della vita in grotta.
Il Parco delle Chiese Rupestri comprende oltre 150 esempi di chiese in rupe, spesso affrescate o a bassorilievo, un patrimonio d’arte sacra che testimonia le varie stagioni storiche e culturali del territorio. L’abitudine materana della quotidianità in grotta determinò infatti anche i luoghi del culto, che si adattarono alla dimensione ipogea. Le chiese spesso sono ad una sola aula, oppure hanno due o tre navate; talvolta sono interamente scavate nella terra, talvolta presentano una facciata edificata, ma l’elemento costante è una presenza diffusa a livello capillare nel territorio. Le prime chiese in rupe sono riconducibili alla cultura monastica medievale, a partire dall’VIII secolo. Nei due secoli successivi la città venne investita da ondate religiose di matrice bizantina e, in fuga dai conflitti, giunsero dalle regioni d’Oriente eremiti e anacoreti che trovarono nell’altopiano materano lo spazio perfetto per la preghiera e la vita in solitudine. I monaci scavarono celle, realizzarono cisterne, fecero nascere nella roccia chiese semplici ma di grande suggestione che portavano impressa sulle pareti la cultura religiosa greco-orientale.
Tra le Chiese Rupestri si trova la “Cripta del peccato originale” considerata la Cappella Sistina delle chiese rupestri, che contiene un ciclo pittorico del X o IX secolo con forti analogie con la tradizione pittorica longobarda beneventana.
Per approfondimenti si consiglia di visitare il sito ufficiale del Centro del Patrimonio Mondiale UNESCO responsabile dell’iscrizione dei siti del Patrimonio Mondiale.

(www.unesco.it)

 

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